Non di rado accade che, nell’ambito di una relazione sentimentale stabile, una delle parti effettui acquisti e sostenga spese nell’ottica di un progetto comune, che, alla fine, non viene portato a compimento a causa della fine della relazione.
Sul piano economico, da ciò deriva la diminuzione patrimoniale di una parte, correlata all’arricchimento dell’altra parte, la quale, di fatto, beneficia degli acquisti effettuati – prima che la relazione finisse – dall’ex convivente.
Quest’ultimo ha la possibilità di chiedere la restituzione delle somme versate?
La Corte di Cassazione dice di sì: tutte le elargizioni di denaro sproporzionate rispetto ai bisogni ordinari della famiglia di fatto che non costituiscono una donazione o l’adempimento di un obbligo contrattuale costituiscono ingiustificato arricchimento in favore dell’altra parte e, se richiesto, debbono essere restituite.
Tale orientamento giurisprudenziale, emerso da numerose pronunce (ad esempio le sentenze n. 14732 del 07/06/2018 e n. 21479 del 31/09/2018) è stato recentissimamente confermato dalla Suprema Corte con l’ordinanza n. 11303/2020.
Sotto il profilo pratico, però, se l’ex convivente rifiuta la restituzione delle somme, qual è l’azione giudiziale da esperire? Il riferimento normativo si trova nell’art. 2041 del codice civile (azione generale di arricchimento), il quale prevede che “chi, senza una giusta causa, si è arricchito a danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale. Qualora l’arricchimento abbia per oggetto una cosa determinata, colui che l’ha ricevuta è tenuto a restituirla in natura, se sussiste al tempo della domanda”.
Il termine di prescrizione dell’azione è quello ordinario, ossia dieci anni, che decorrono – ha chiarito la Corte nell’ordinanza 11303/2020 – non dai singoli esborsi, ma dalla fine della relazione.