Con l’ordinanza n. 11202/2020 la Suprema Corte è tornata ad esprimersi in tema di assegno di divorzio e capacità lavorativa dell’ex coniuge.

In questo caso, è stata portata all’attenzione del Collegio la vicenda di una donna alla quale era stato negato, sia in primo grado che in appello, il diritto a percepire un assegno divorzile dall’ex marito, sulla scorta del fatto che quest’ultimo aveva dimostrato in giudizio che l’ex moglie percepiva un reddito non dichiarato derivante da attività lavorativa svolta “in nero”.

Sulla base di ciò, i Giudici avevano, quindi, ritenuto che la donna fosse in grado di autosostentarsi e, di conseguenza, avevano rigettato l’istanza di assegno divorzile presentata dalla stessa.

La donna ha quindi depositato un ricorso per Cassazione lamentando che i Giudici di merito, nel negarle il diritto all’assegno, avrebbero omesso di considerare il significativo apporto che, nel corso del matrimonio di lunga durata, la stessa avrebbe fornito alla formazione del patrimonio familiare e a quello personale del marito.

Tale motivo di ricorso è stato ritenuto meritevole di accoglimento da parte della Corte, che, nel motivare la decisione, ha richiamato il proprio orientamento ormai consolidato a seguito sentenza n. 18287/2019 pronunciata dalle Sezioni Unite.

Con questa importante sentenza, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno, infatti, chiarito, una volta per tutte, che nel nostro ordinamento l’assegno di divorzio ha la triplice funzione assistenziale, compensativa e perequativa, ragion per cui i criteri che concorrono alla sua determinazione sono molteplici.

Oltre all’oggettiva capacità economica e lavorativa del coniuge che effettua la richiesta, occorre, infatti, considerare anche, sotto il profilo comparativo, la situazione patrimoniale dell’altro coniuge, la durata del matrimonio e l’età del richiedente, nonché l’apporto che quest’ultimo ha fornito alla vita familiare e al patrimonio comune.

In altre parole, secondo la Corte, non sarebbe giusto che un ex coniuge che per anni ha contribuito in modo significativo alla vita familiare, magari aumentando le possibilità di arricchimento dell’altro, si vedesse negato qualsiasi riconoscimento economico sulla scorta del solo fatto che è oggettivamente capace di autosostentarsi.

La percezione di redditi non dichiarati, pertanto, rappresenta certamente un elemento da considerare ai fini della decisione (e dell’eventuale quantificazione dell’importo), ma non può essere, di per sé, un motivo di automatica esclusione dell’assegno divorzile.