“Non è sufficiente per provare la grave negligenza dell’utilizzatore la sola circostanza del breve lasso di tempo intercorso tra il furto e l’utilizzo dello strumento di pagamento in quanto non si può appunto escludere l’utilizzo di strumenti elettronici per ricavare il PIN da una carta in breve tempo” (G.d.P. Milano, Sez. V civ., sentenza n. 3978 del 5 ottobre 2020)
Questo il principio enunciato dal Giudice di Pace di Milano con la Sentenza n. 3978, pubblicata il 5 ottobre 2020, all’esito di un procedimento che ha visto coinvolti una correntista, difesa dall’Avv. Zappia, e i due istituti di credito che avevano negato il risarcimento delle somme prelevate a seguito di furto delle carte Bancomat e prima del blocco delle stesse.
La vicenda
La vicenda ha riguardato una correntista che ha subìto il furto della propria borsetta, prelevata dall’autovettura presso il parcheggio di un centro commerciale mentre la stessa veniva distratta dai ladri con il tintinnio di alcune monete lasciate cadere dall’altro lato dell’autovettura in modo che la stessa si allontanasse.
La correntista, avvedutasi del furto, ha quindi chiesto il blocco delle carte Bancomat contenute nel portafogli e successivamente il rimborso delle somme prelevate dai ladri nel lasso di tempo intercorso tra il furto e il blocco, rimborso che veniva però negato dagli istituti di credito.
La correntista, quindi, si è rivolta all’Autorità Giudiziaria per far accertare il proprio diritto al risarcimento delle somme indebitamente prelevate a seguito del furto.
Entrambi gli istituti di credito convenuti si sono costituiti contestando all’attrice di aver violato gli obblighi di diligenza nella custodia del PIN e delle tessere Bancomat.
La decisione del Giudice di Pace di Milano
In primo luogo, il Giudice ha ritenuto provato, per non essere stato contestato né il furto delle tessere Bancomat nelle circostanze di tempo e luogo indicate dall’attrice, né la comunicazione di blocco delle carte circa tre ore dopo dall’effettuazione dello stesso, né i prelievi e i pagamenti effettuati nel tempo intercorso tra il furto e il blocco.
Le banche convenute hanno affermato che le operazioni fraudolente sarebbero state effettuate in un lasso di tempo così ravvicinato da doversi escludere ogni clonazione della carta, ricerca del PIN o aggiramento del sistema di sicurezza e che quindi il PIN era stato mal custodito dall’attrice, richiamando la normativa comunitaria secondo la quale il rischi relativo all’utilizzo di strumenti di pagamento elettronici ricade sulla Banca, eccezion fatta per i casi in cui il titolare della carta abbia agito con dolo o colpa grave, ossia violando gli obblighi di custodia della carta stessa e del relativo PIN.
Il Giudice di Pace di Milano, richiamando l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale la società che fornisce il servizio di pagamento elettronico (i.e. la Banca) ha l’onere di provare concretamente tale negligenza, che non può ritenersi in re ipsa per il solo fatto che una tessera Bancomat, dopo il furto, sia stata utilizzata per prelevare contante mediante l’uso del PIN (T. Roma, Sez. XIII, 20 marzo 2006), ha poi precisato che non è sufficiente, per provare la grave negligenza dell’utilizzatore, la sola circostanza del breve lasso di tempo intercorso tra il furto e l’utilizzo dello strumento di pagamento in quanto non si può appunto escludere l’impiego di strumenti elettronici per ricavare il PIN da una carta in breve tempo.
Con questa recentissima decisione favorevole all’Assistita dell’Avv. Zappia, il Giudice di Pace di Milano ha richiamato l’orientamento sul riparto dell’onere probatorio confermato anche dalla Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 9721/2020, nella quale la Suprema Corte ha chiarito che all’istituto di credito è richiesta una particolare diligenza qualificata che impone l’adozione delle misure necessarie e idonee a verificare l’effettiva riconducibilità al cliente delle operazioni effettuate con strumenti elettronici.
In tale ottica, è sempre l’istituto di credito, cui spetta il compito di prevenire prelievi abusivi, che, nel corso del processo, deve provare la riconducibilità delle operazioni effettivamente al cliente, dovendosi concludere che, in assenza di elementi gravi, precisi e concordanti che escludano la possibilità di ricavare il PIN con strumenti fraudolenti, la titolare della carta si sia comportata diligentemente.
In conseguenza di quanto sopra, i due istituti di credito sono stati condannati al pagamento delle somme richieste in risarcimento dall’Assistita dell’Avv. Zappia, oltre che alle spese di lite.