In materia di risarcimento danni, si pone spesso il problema di quantificare i danni “non patrimoniali”, ossia quelle lesioni che non appaiono immediatamente traducibili in un importo monetario, quale ad esempio un costo sostenuto o un mancato guadagno.
Si tratta sostanzialmente dei danni alla salute, dei danni estetici, dei danni alla vita di relazione, dei danni cosiddetti “morali” o “esistenziali”, variamente qualificati nel corso del tempo dalla giurisprudenza.
Ormai da diversi anni, la quantificazione di tali danni si esegue sulla scorta di specifici parametri (cosiddette tabelle di liquidazione del danno non patrimoniale) in uso presso gli Uffici Giudiziari.
Tali tabelle vengono periodicamente aggiornate in base a vari fattori e, nel 2021, l’Osservatorio del Tribunale di Milano ha modificato i parametri in considerazione della variazione ISTAT dal gennaio 2018 al gennaio 2021, introducendo altresì alcune novità con riferimento alle voci di danno e alla formulazione del quesito medico-legale.
La novità più importante attiene, però, l’espressa introduzione, tra le voci di danno liquidabile, del danno da mancato consenso informato in ambito sanitario.
Vediamo di cosa si tratta e, soprattutto, come viene quantificato.
Premesso che la legge 219/2017 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento), sulla scorta di un principio fondamentale di cui all’art. 32 della Costituzione, dispone che, di regola, nessun trattamento sanitario può essere posto in essere senza il consenso libero e informato della persona interessata, vediamo, nello specifico, quale tipologie di danno possono derivare da una mancanza o da una carenza di consenso.
Il punto sulla questione è stato tracciato dalla Suprema Corta con la Sentenza n. 28985/2019, che ha, sostanzialmente, suddiviso il danno da mancato consenso in due macrocategorie:
A) un danno alla salute, “quando sia ragionevole ritenere che il paziente – sul quale grava il relativo onere probatorio – se correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi all’intervento”;
B) un danno da lesione del diritto all’autodeterminazione, qualora “a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute”.
Posta tale premessa generale, la Cassazione ha individuato varie fattispecie concrete:
IPOTESI 1): omessa o insufficiente informazione in relazione ad un intervento al quale il paziente, anche se debitamente informato, si sarebbe in ogni caso sottoposto, alle medesime condizioni. In questo caso, il risarcimento sarà limitato all’eventuale danno biologico riportato dal paziente, qualora vi sia stata una condotta colposa del medico (se l’intervento non ha cagionato alcun danno alla salute del paziente, nessun risarcimento sarà dovuto).
IPOTESI 2): omessa o insufficiente informazione in relazione ad un intervento al quale il paziente, se debitamente informato, avrebbe scelto di non sottoporsi. In questo caso, oltre al risarcimento del danno alla salute per ogni eventuale danno da colpa del medico, il paziente avrò diritto anche ad un risarcimento aggiuntivo per la lesione del diritto all’autodeterminazione.
IPOTESI 3): omessa o insufficiente informazione in relazione ad un intervento che ha cagionato un danno alla salute senza che vi sia una condotta colposa ascrivibile al medico, a cui il paziente, se debitamente informato, avrebbe scelto di non sottoporsi. In questo caso il paziente avrà diritto ad un risarcimento per la violazione del diritto alla autodeterminazione e ad un risarcimento per il danno alla salute, calcolato in termini “differenziali”, ossia tenendo conto della forbice tra il maggiore danno biologico conseguente all’intervento ed il preesistente stato patologico invalidante del soggetto;
IPOTESI 4): omessa o incompleta attività diagnostica che, pur non avendo cagionato danno alla salute del paziente, gli ha precluso l’accesso a più accurati e attendibili accertamenti/trattamenti. In questo caso, il danno da lesione del diritto alla autodeterminazione sarà risarcibile qualora il paziente dimostri che, dalla omessa, inadeguata o insufficiente informazione, siano derivate conseguenze pregiudizievoli, in termini di sofferenza soggettiva e diminuzione della propria libertà di scelta.
Occorre precisare che, in tutti i suddetti casi, l’onere della prova grava sul paziente, ma la prova stessa può essere fornita con ogni mezzo, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza e le presunzioni.
Quantificazione: secondo i recentissimi aggiornamenti del Tribunale di Milano, la liquidazione del danno all’autodeterminazione segue i seguenti parametri:
lieve entità: da Euro 1.000,00 a Euro 4.000,00;
media entità: fino a Euro 9.000,00;
grave entità: fino a Euro 20.000,00;
eccezionale entità: sopra Euro 20.000,00.