Cos’è un contratto di convivenza? Quale valore ha? In cosa si differenzia dall’unione civile?
Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.
In primo luogo, occorre sapere che “unione civile” e “contratto di convivenza” sono due istituti giuridici differenti; entrambi sono stati introdotti nell’ordinamento con la legge 20 maggio 2016, n. 76 (“Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”), cosiddetta “Legge Cirinnà”, ma debbono essere tenuti ben distinti.
L’unione civile è un istituto riservato alle coppie dello stesso sesso; si costituisce mediante dichiarazione resa avanti ad un ufficiale di stato civile alla presenza di due testimoni ed è disciplinata dagli articoli da 1 a 35 della legge 76/2016.
A partire dal successivo articolo 36, la normativa regola, invece, la convivenza di fatto e la possibilità di formalizzarne le condizioni patrimoniali attraverso un accordo, il contratto di convivenza, appunto.
Il contratto di convivenza può essere stipulato da due persone maggiorenni (a prescindere dall’orientamento sessuale) unite stabilmente da un legame affettivo di coppia nonché da reciproca assistenza morale e materiale, purché non siano vincolate da rapporti di parentela, da matrimonio o da unione civile tra di esse o con terzi soggetti (nel qual caso il contratto sarebbe insanabilmente nullo).
I conviventi di fatto, oltre a godere reciprocamente di una serie di diritti e facoltà di natura non patrimoniale (diritto di visita al partner presso le strutture di ricovero in caso di malattia o presso il carcere in caso di detenzione; accesso alle informazioni sanitarie; possibilità di indicare il partner quale soggetto da nominare proprio amministratore di sostegno in caso di sopravvenuta limitazione della capacità di intendere di volere, oppure quale soggetto preposto ad assumere ogni decisione in tema di donazione degli organi e/o celebrazioni funerarie…) possono regolare gli aspetti economici del rapporto attraverso la sottoscrizione di un contratto.
Ad esempio, con la stipula di contratto di convivenza possono essere disciplinati i seguenti aspetti:
- le modalità di partecipazione alle spese comuni, definendo gli obblighi di contribuzione reciproca nelle spese comuni o nell’attività lavorativa domestica ed extradomestica;
- i criteri di attribuzione della proprietà dei beni acquistati nel corso della convivenza (è addirittura possibile indicare l’opzione comunione o separazione dei beni);
- le modalità di uso della casa adibita a residenza comune (sia essa di proprietà di uno solo dei conviventi; di entrambi i conviventi, oppure in locazione) anche con riferimento all’eventuale fine della convivenza;
- la regolazione preventiva dei reciproci rapporti patrimoniali in caso di cessazione della convivenza, al fine di evitare successive rivendicazioni.
Il contratto deve essere redatto in forma scritta, per atto pubblico oppure scrittura privata, purché autenticata da un notaio o da un avvocato, che curerà, nei dieci giorni successivi alla stipula, la trasmissione dello stesso al Comune di residenza, affinché si proceda alla relativa annotazione nei registri anagrafici (in tal caso il contratto, oltre ad avere valore tra le parti, sarà anche opponibile ai terzi).
Come ogni contratto, anche quello di convivenza può essere risolto e ciò può avvenire per accordo tra le parti, per recesso unilaterale di una sola parte, oppure, automaticamente, per matrimonio/unione civile tra le parti (o tra una di esse e un soggetto terzo) o, infine, per morte.
Lo scioglimento per volontà di entrambi o il recesso unilaterale debbono avvenire per iscritto con le medesime formalità previste per la stipulazione del contratto; in caso di recesso di una sola parte, il professionista che riceve/autentica l’atto di recesso, oltre a doverne dare comunicazione al Comune, è tenuto a notificarne copia all’altro contraente. Il termine per lasciare la casa comune non può essere inferiore a 90 giorni.
Qualora uno dei due contraenti versi in stato di bisogno, anche in caso di intervenuta risoluzione del contratto, potrà configurarsi un diritto agli alimenti, che il Giudice valuterà caso per caso e determinerà nell’ammontare e nella durata (sempre proporzionale alla durata della convivenza).
In caso di morte del convivente che è proprietario esclusivo della casa comune, l’altro avrà diritto a continuare ad abitare l’immobile per due anni o per un periodo pari alla durata della convivenza (se superiore a due anni), in ogni caso non superiore a cinque anni.