Il datore di lavoro assume, nei confronti dei propri dipendenti e collaboratori, una posizione di garanzia con riferimento alla salute e all’integrità fisica di questi ultimi, mentre si trovano sul luogo di lavoro.
Tale principio assume oggi particolare attualità e importanza, alla luce della grave emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del virus Covid-19.
Come è noto, le Fase 2 dell’emergenza ha portato alla graduale riapertura di quasi tutte le attività e il conseguente ritorno al lavoro dei cittadini.
A tal proposito, i datori di lavoro sono tenuti ad osservare rigidi protocolli di sanificazione e messa in sicurezza degli ambienti, in modo da ridurre quanto più possibile il rischio di contagi nei luoghi di lavoro.
Del resto, il contagio da Covid-19 è stato espressamente annoverato tra gli infortuni sul lavoro ed è, quindi, garantita la copertura INAIL qualora la malattia sia stata verosimilmente contratta nello svolgimento delle mansioni oppure in itinere.
Ne deriva che, in caso di contagio verificatosi sul luogo di lavoro che determini lesioni gravi o addirittura la morte del dipendente, il titolare potrebbe rispondere anche in sede penale, ai sensi degli art. 590 c.p. (lesioni colpose) o 589 (omicidio colposo), qualora si accerti che siano state colpevolmente disattese le norme in materia di sanificazione e sicurezza.
Lo scorso 15 maggio, una comunicazione dell’Inail ha ulteriormente specificato che la responsabilità civile e/o penale in capo al datore di lavoro è ravvisabile unicamente laddove si dimostri una violazione dolosa o colposa degli obblighi di messa in sicurezza da parte di quest’ultimo, il quale non può essere in alcun modo soggetto a forme di responsabilità oggettiva in relazione agli eventuali contagi dei dipendenti (o di qualsiasi altro soggetto).