Lo scorso 2 marzo è stata pubblicata una importante sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ha messo un punto alla controversa vicenda dei presunti aiuti di stato perpetrati dall’Italia mediante l’acquisizione di Banca Tercas da parte di Banca Popolare di Bari.

Ricostruiamo brevemente la vicenda storica, ripercorrendone le tappe principali, per poi analizzare la decisione della Corte e il percorso argomentativo alla base della sentenza.

Occorre anzitutto ricordare che tutto cominciò nel 2014, quando la Banca di Italia autorizzò l’acquisizione, da parte di Banca Popolare di Bari, di Banca Tercas (all’epoca sottoposta ad amministrazione straordinaria) attraverso un aumento di capitale, condizionato al fatto che la copertura del deficit patrimoniale fosse garantita dal Fondo Interbancario a tutela dei depositi (FITD).

Tale ultima istituzione – avente natura privata consortile e facente parte dei sistemi di garanzia a tutela dei depositanti disciplinati dall’articolo 96-bis del TUB – aveva accettato di intervenire attraverso tre misure: un contributo economico di 265 milioni di euro a copertura del deficit patrimoniale della Tercas; la prestazione di unagaranzia per 35 milioni di euro, a copertura del rischio di credito associato ad alcune posizioni creditorie e, infine, la prestazione di una ulteriore garanzia per 30 milioni di euro, a copertura dei costi derivanti dal trattamento fiscale di cui alla prima misura citata.

L’anno successivo, tuttavia, arrivò la pesante censura della Commissione Europea, che, con decisione del 23 dicembre 2015, statuiva l’illegittimità di tale intervento del FITD a favore della Tercas, in quanto – a parere della Commissione – esso costituiva una forma di aiuto di stato indebitamente concessa dallo stato italiano alla Tercas.

In ragione di ciò, l’Istituzione Europea ravvisava, in capo all’Italia, una violazione dell’art. 107, comma 1, TFUE, che vieta ogni forma di aiuto statale (sia esso prestato direttamente dallo stato, o anche solo mediante risorse statali) idonea a favorire talune imprese a discapito di altre oppure a falsare la concorrenza.

Contro la suddetta decisione, lo Stato Italiano, la Banca popolare di Bari e il FITD proponevano ricorso al Tribunale di primo grado dell’Unione Europea, il quale, con sentenza del 19 marzo 2019, accoglieva i motivi dell’impugnazione, escludendo che l’intervento di sostegno da parte del FITD potesse essere imputato allo Stato italiano, sulla scorta della tesi secondo cui – essendo il FITD un ente privato – non sussisteva prova del concreto coinvolgimento dello Stato nell’operazione.  

Secondo il Tribunale, infatti, la decisione della Commissione era fondata su una mera presunzione, non suffragata da sufficienti riscontri probatori, anche in considerazione del fatto che il FITD è un’istituzione consortile dotata di organi decisionali che agiscono in modo indipendente rispetto allo Stato e che, nel caso in esame, avevano deliberato all’unanimità.

Quanto all’autorizzazione prestata dalla Banca d’Italia, il Tribunale rilevava come essa fosse ascrivibile ad un’ordinaria attività di controllo, non idonea, di per sé, a ricollegare con sufficiente certezza la “regia” dell’operazione alle Autorità statali.

Contro la pronuncia del Tribunale – che annullava il provvedimento della Commissione – quest’ultima proponeva appello avanti la Corte di Giustizia, che si è finalmente espressa con sentenza del 02 marzo 2021.

Con la suddetta sentenza, la Corte ha avallato in pieno la decisione del Tribunale, dando ragione, ancora una volta, allo Stato Italiano.

Vediamo sulla base di quali argomentazioni.

Prima di tutto, il Collegio ha ripercorso le proprie precedenti pronunce in tema di imputabilità agli Stati degli aiuti concessi da enti di diritto privato.

In particolare, secondo la giurisprudenza costante della Corte, per qualificare una misura di sostegno come “aiuto di stato” ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE, occorre la prova che la stessa sia perpetrata direttamente o indirettamente dallo Stato, mediante risorse pubbliche.

Sulla base di tale ragionamento, secondo la Corte, il Tribunale aveva correttamente ritenuto che l’onere di fornire tale prova spettasse alla Commissione, la quale non aveva adeguatamente dimostrato, nel caso di specie, il concreto coinvolgimento dello Stato Italiano nelle misure di sostegno in favore di Banca Tercas.  

A tal proposito, l’assenza di un legame di natura patrimoniale tra l’FITD e lo Stato è stato valutato come elemento particolarmente rilevante per destituire di fondamento le statuizioni della Commissione.

In conclusione, quest’ultima, a parere della Corte Giustizia, avrebbe mal valutato i fatti, omettendo di considerarli nel loro giusto contesto e commettendo così un errore di diritto a discapito dello Stato Italiano.