Con la recente ordinanza n. 4477/2021, la Corte di Cassazione è tornata ad affrontare il tema della riproduzione e divulgazione di immagini senza il consenso espresso della persona interessata.

La vicenda in esame è interessante in quanto porta all’attenzione un aspetto che talvolta viene sottovalutato: quello del cosiddetto consenso implicito alla diffusione.

In altri termini: il fatto che una persona si ponga in una situazione che può far presumere la volontà, o quantomeno la non contrarietà, alla diffusione della sua immagine, ne legittima la pubblicazione da parte di terzi?

Vediamo, per spiegarci meglio, il caso concreto sottoposto al vaglio della Corte.

Nel 2012, un uomo e una donna, genitori di una bambina in stato vegetativo, avevano rivolto un invito ad un famoso calciatore affinché facesse visita alla loro figlia presso la struttura ove la stessa era ricoverata.

Il calciatore, lieto di portare un po’ di conforto all’intera famiglia, accettava l’invito e si recava a trovare la ragazzina con una maglia autografata in regalo.

La visita di un personaggio tanto noto scatenava l’euforia del personale della clinica, che scattava numerose fotografie ritraenti la bambina, i genitori e i medici/infermieri accanto al campione.

Dopo qualche tempo, i genitori della piccola apprendevano che le suddette fotografie erano state acquisite da alcune testate giornalistiche, che le avevano pubblicate senza previamente richiedere il loro consenso.

La coppia, ritenendo illecita la diffusione sui giornali delle predette immagini – soprattutto in quanto ritraenti la figlia minorenne e gravemente malata – citavano in giudizio le testate giornalistiche, imputando a queste ultime la causazione di un grave danno alla riservatezza (loro e dalla bambina) e chiedendo un risarcimento quantificato in Euro 250.000,00.

Il Tribunale rigettava le loro domande, avallando la liceità della condotta dei giornali, sulla base di una serie di argomentazioni, tutte sostanzialmente incentrate sul fatto che, per le peculiarità della situazione concreta in cui le fotografie erano state scattate, il consenso alla diffusione delle stesse doveva ritenersi implicito.

In particolare il Giudice, premettendo che le immagini non risultavano in alcun modo lesive della dignità e/o dell’onore delle persone coinvolte e che la minore era stata oscurata in volto ed appariva ben coperta dalla maglia autografata del calciatore, fondava la propria decisione su una duplice valutazione:

  1. farsi volontariamente ritrarre accanto ad una persona molto nota, che gode di forte visibilità pubblica, rappresenterebbe di per sé una presunzione di consenso alla divulgazione delle relative immagini (salvo, naturalmente, che tale consenso venga negato in modo esplicito);
  2. i genitori avevano a propria volta pubblicato le immagini “incriminate” su una pagina Facebook, pagina con la quali essi condividevano la triste vicenda della loro bambina, con tanto di nome, cognome ed altri dati che la rendevano riconoscibile.

La Suprema Corte, investita della questione a seguito di impugnazione della sentenza, dopo essersi lungamente soffermata ad analizzare le norme che, nel nostro ordinamento, disciplinano la tutela dell’immagine – art. 10 c.c. e artt. 96 e 97 legge 633/1941 (legge sul diritto d’autore) – ha convenuto con il Tribunale su due punti: il consenso alla diffusione dell’immagine può essere manifestato anche tacitamente per “comportamenti concludenti”;  il fatto di farsi volontariamente fotografare accanto ad un personaggio famoso può rappresentare una forma di implicito consenso alla divulgazione dell’immagine.

Tuttavia, secondo il parere della Corte, nel caso di specie il Tribunale avrebbe erroneamente omesso di considerare un aspetto essenziale della vicenda, ossia il fatto che le fotografie in esame ritraessero una minore, peraltro affetta da grave patologia.

Nel caso di immagini di minori, il problema del consenso (reso dai genitori quali rappresentanti legali) deve essere affrontato con maggiore scrupolo e non ci si può limitare a presumerlo in via circostanziale, soprattutto alla luce di una condizione gravemente patologica del minore stesso.

Per tale ragione, nel caso di specie, secondo il Supremo Collegio, il fatto che i genitori avessero acconsentito a far ritrarre la bambina insieme al calciatore e avessero addirittura pubblicato le foto su un profilo Facebook, non soltanto non fa venire meno l’illiceità della condotta delle testate giornalistiche, ma nemmeno è idoneo a ridurre l’entità del danno e del conseguente risarcimento.

La Cassazione ha, quindi, accolto le ragioni della famiglia, ma la vicenda in esame – e soprattutto l’interpretazione della stessa resa dai Giudici di merito – consente comunque di trarre un suggerimento pratico: prestare la massima attenzione alle situazioni in cui si viene fotografati e, nel dubbio, per non rischiare una indebita divulgazione, meglio esplicitare il proprio dissenso a qualsivoglia pubblicazione.