Con l’ordinanza n. 13724/2021 la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in tema di assegno di divorzio, con particolare riferimento al caso della moglie che rinuncia alle proprie ambizioni professionali per dedicarsi alla famiglia.
La decisione della Corte trae origine da una vicenda dolorosa: una madre che, per occuparsi dei figli, di cui uno gravemente malato e in seguito deceduto, ha rinunciato ad ogni aspirazione di carriera, facendosi carico in via esclusiva delle esigenze della famiglia, compresa le cure costanti al figlio malato, nella sostanziale assenza del marito, sottrattosi ad ogni dovere assistenziale.
Tanto il Giudice di primo grado quanto la Corte d’appello avevano riconosciuto alla donna, in sede di divorzio, il diritto a percepire un assegno divorzile, per il proprio sostentamento, a carico del marito (in aggiunta, naturalmente, a quanto dovuto per i figli), nonostante ella avesse un lavoro part-time e fosse proprietaria di quote immobiliari, ereditate dal figlio deceduto.
Ciò in ragione del fatto che, sebbene la moglie non fosse del tutto priva di mezzi propri, i Giudici hanno ravvisato in capo alla stessa il diritto ad un riconoscimento per la vita di sacrifici alla quale è stata sostanzialmente obbligata.
Il marito ha impugnato la decisione, contestando il fatto che la Corte d’Appello non avesse adeguatamente considerato le condizioni patrimoniali della moglie, che sarebbe stata, a detta del ricorrente, in grado di provvedere al proprio autosostentamento e lamentando di avere egli stesso difficoltà economiche dovute al periodo di crisi.
La Suprema Corte ha riconosciuto la legittimità della decisione dei Giudici di merito, soprattutto con riferimento alla motivazione, pienamente conforme al principio stabilito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 18287/2018, che impone una valutazione complessiva della situazione dei coniugi, nonché di riconoscere valore al sacrificio, in termini di rinuncia alla vita professionale, di una delle parti.
Ciò a maggior ragione, ove, come nel caso di specie, il sacrificio sia stato posto in essere da un solo coniuge, onde consentire all’altro di non limitare la propria carriera, oppure perché l’altro si è sempre sottratto dai compiti familiari/assistenziali.